I berberi sono l’antichissimo popolo originario del Nordafrica distribuito tra Algeria, Marocco, Tunisia, Libia, Mauritania, Egitto e alcuni stati
dell'Africa occidentale, soprattutto Niger e Mali (i Tuareg). Costituiscono il 40% della popolazione del Marocco, il 30% di quella dell’Algeria, il 9-10%
di quella del Niger e l’1% di quella della Tunisia.
Poiché nel tempo molti hanno adottato la lingua e la cultura della maggioranza araba, il numero delle persone chiaramente identificabili come
berbere sta lentamente diminuendo, ma a 1300 anni dalla conquista araba più di 15 milioni di persone parlano ancora la lingua berbera.
Il nome berbero deriva dal francese berbère, ovvero barbaro,
designante all’epoca romana chi non parlava il latino o il greco.
Il nome con cui i Berberi chiamano se stessi nella propria lingua è Amazigh
(plurale Imazighen), che significa uomini liberi.
Tracce della presenza dei Berberi in Nordafrica risalgono fino al Neolitico e le popolazioni berbere sono citate nei
testi egiziani fin dal 3000 a. C. Molti nomi di popoli e tribù ci giungono da storici greci e latini come Erodoto e Sallustio:
erano berberi i Libi, i Numidi, i Mauri, i Garamanti, i Getuli. Nel corso della loro lunga storia le popolazioni berbere
non hanno mai effettuato guerre di conquista ma sempre subito, e spesso contrastato efficacemente, dominazioni altrui.
A partire dal I millennio a.C. il Nordafrica berbero subì la colonizzazione dei Fenici, dei Greci e poi dei Romani.
Intorno al III secolo a.C. si erano costituiti i regni di Numidia e Mauretania, veri e propri Stati berberi (a quest'epoca risalgono figure
note come Massinissa e Giugurta), che persero definitivamente la loro indipendenza nel 40 d.C, conquistati dai Romani sotto Caligola.
Durante la dominazione romana si distinsero noti autori quali Terenzio, Marziano Capella, Frontone, Apuleio, Tertulliano, santi come i martiri scillitani,
San Cipriano, San Vittore, Sant'Agostino, Santa Monica e papi come Vittore I, Melchiade e Gelasio I. Berbero era anche l’imperatore Settimio Severo.
Successivamente conquistati dai Vandali e poi riconquistati alla sovranità di Bisanzio, nel VII secolo i Berberi subirono
la definitiva conquista degli Arabi.
Ai vari invasori i Berberi riuscirono talvolta a resistere con capi valorosi, celebre presso di loro
è la leggendaria figura femminile di Kahina. In conseguenza delle numerose invasioni i Berberi finirono per cedere le terre più fertili ritirandosi
nelle zone più impervie, sui monti e nei deserti, dove si trovano tutt’oggi. Con l’eccezione dei Tuareg, conducono vite sedentarie.
La lingua berbera o tamazight, appartiene alla famiglia camito-semitica e comprende circa trecento dialetti locali Non è generalmente
riconosciuta dagli Stati del Nordafrica e non esistono canali ufficiali di diffusione scritta od orale in tamazight. I governi dei paesi del Nordafrica,
infatti, amano descriversi come arabi e non promuovono la cultura e la lingua berbera, non riconosciuta nella costituzione di quasi nessun paese del Maghreb.
Fra i paesi che hanno recentemente riconosciuto il berbero come lingua nazionale c'è però l'Algeria, con una legge del 2002.
I Berberi possiedono anche una propria scrittura, presente in numerose iscrizioni dell'antichità risalenti fino al I millennio a.C. Oggi questa scrittura è
conservata solo dai Tuareg, che la chiamano tifinagh.
I Berberi sono di religione musulmana; i loro riti integrano elementi animistici derivanti dalle pratiche religiose precedenti all’islamizzazione. Appartiene alla tradizione berbera un calendario oggi giunto alle soglie dell’anno Tremila.
La scrittura tifinagh è sempre stata usata, come tutt’oggi dai Tuareg, solo per scopi pratici, per contrassegnare oggetti o proprietà o per scrivere brevi messaggi. Per tramandare opere letterarie è ritenuta più appropriata la conservazione mnemonica e la trasmissione orale.
La maggior parte
della letteratura berbera è stata tramandata di bocca in bocca nel corso dei secoli, spesso in maniera casuale, ma in qualche caso, come in Cabilia,
ad opera di una consapevole catena di amusnaw (“coloro che sanno”), depositari del patrimonio culturale orale della tribù.
Questa vasta cultura orale comprendeva opere diverse: poesie religiose o epiche, sentenze, detti e proverbi, fiabe, racconti storici, miti e leggende di luoghi e personaggi locali,
raccolte di leggi consuetudinarie di singoli villaggi o tribù. Alla fine dell’800 studiosi europei e indigeni hanno iniziato a mettere per
iscritto qualche testo di poesie (noti i due volumi di poesie tuareg del missionario Ch. de Foucauld 1925-1930). Negli ultimi decenni, poi, con l’acquisizione
della consapevolezza dell’originalità e valore della propria lingua e cultura, si sono moltiplicati studi e pubblicazioni ad opera di Berberi riguardanti in
particolare la poesia, ma anche generi come i proverbi, gli indovinelli e la narrazione storica.
Una netta distinzione tra “poesia” e “canto” in una cultura orale non esiste, dal momento che la poesia vive in quanto recitata in modo armonioso, con una certa
“musicalità” di esecuzione, anche quando non è presente l’accompagnamento di strumenti o percussioni.
La massa della cultura orale berbera è soprattutto costituita da fiabe e racconti, di cui ogni tribù, ogni villaggio, ogni famiglia possiede un vastissimo repertorio.
Un grande studioso tedesco, Leo Frobenius, instancabile raccoglitore di tradizioni africane, riconosceva ai Cabili
“il primo posto tra gli Africani nell’arte di fabbricare racconti” e raccoglieva e pubblicava ben tre volumi di fiabe di questa regione (1921-22).
Oggi il materiale pubblicato è veramente imponente.
Come spiega l’etnologa Camille Lacoste-Dujardin in un saggio sulle fiabe berbere della Cabilia (1970), i racconti costituiscono un archivio di usi, costumi, valori, visioni del mondo e della
società. Non hanno funzione di semplice intrattenimento, ma di identificazione sociale, trasmissione di valori e di ruoli, istruzione dei giovani, edificazione religiosa.
La fiaba, evocatrice di immagini molto diverse, è prossima a un rito magico e rispetta regole precise.
Di norma non si possono raccontare fiabe di giorno:
il momento più indicato è la sera dopo cena e ai bambini che insistono per farsene raccontare in orari non ammessi viene detto che se lo si facesse prenderebbero
la tigna. Occorre delimitare con apposite frasi di apertura e di chiusura lo spazio magico del racconto. Può trattarsi di qualcosa come il nostro “C’era una volta…”
oppure di vere e proprie formule, a volte piuttosto lunghe. Si tratta perlopiù di brevi rime senza senso, parole misteriose, come l’oscuro termine càbilo “Amashahu!…”.
Alcuni temi sono caratteristici della tradizione orientale dei racconti delle “Mille e una notte”, altri ricordano piuttosto tradizioni europee quali quelle dei
fratelli Grimm. Cospicua è la quantità di temi e anche di intere fiabe in comune con tradizioni ebraiche, sia orientali sia yiddish, soprattutto nelle fiabe di
argomento mistico e allegorico. Gli Ebrei, infatti, furono piuttosto numerosi in Nordafrica, in particolare a seguito della cacciata dalla Spagna alla fine del XV
secolo; gran parte dei fuggiaschi si stabilirono presso le comunità preesistenti, assumendone gli usi e la lingua, che non di rado era il berbero. E’ stato persino
rinvenuto un testo della Haggadah di Pesah (una composizione liturgica) in versione berbera.
Tradizionalmente alle donne sono affidate le attività musicali organizzate. Ogni tribù ha una poetessa "professionista" che improvvisa mentre canta, accompagnata
da un coro di donne che suonano piccoli tamburi.
Gli strumenti musicali tipici sono il bandir (cembalo algerino), i gasba (flauti di canna), il tbal
(tamburo di pelle di capra), gli ghaitta (sorta di trombette).
Nomi noti della canzone Cabila di oggi sono quelli di Ait Menguelet e Idir. Indimenticato il noto cantante simbolo della Cabilia Matoub Lounes, amatissimo in
tutta l’Algeria e ucciso nel 1998 dagli integralisti islamici.
Il cinema algerino si esprime oggi soprattutto grazie alle opere spesso impegnate di alcuni cineasti Càbili. Fra questi vanno citati soprattutto Azzedine Meddour (“La montagne de Baya”, 1997) e Abderrahmane Bouguermouh, autore de “La colline oubliée” (1997), il primo film girato in lingua tamazight.